Repressione, cattiveria e razzismo: con la legge sicurezza la destra mostra il suo volto autoritario

di CARLO DI MARCO

pubblicato su www.strisciarossa.it del 27 settembre 2024

Esaminare con attenzione il disegno di legge del Governo recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario” (Atto Camera 1660, poi Atto Senato 1236), quando, come in questo caso, le modifiche apportate al Codice penale perseguono finalità tipiche di un regime violento e autoritario, è innanzi tutto doveroso: nessun giurista democratico dovrebbe esimersi dal farlo. Le persone, a partire da quelle più semplici e disorientate devono sapere, capire e mobilitarsi. È anche esercizio complesso, corposo, lungo, ma cercherò di essere breve e, soprattutto, di farmi capire.

L’Atto Senato 1236 non è un decreto (come impropriamente lo si definisce) ma un disegno di legge del Governo. Una scelta di indirizzo politico. È stato approvato il 19 settembre 2024 dall’Assemblea di Montecitorio con cento sessantadue voti favorevoli, novantuno contrari e tre astenuti. Ora è assegnato al Senato, al momento in cui scriviamo non è ancora iniziato l’esame. È composto da trentotto articoli che disciplinano varie materie: modifica il Codice penale; disciplina vari benefici per le vittime dell’usura; contiene varie norme per le Forze armate, Polizia e Vigili del Fuoco. In questo corpo normativo sono contenute scelte politiche di grande rilevanza che impattano fortemente sul sistema dei diritti fondamentali e contro il suo iter legis si stanno generando forti movimenti di dissenso in tutto il Paese. Si tratta di scelte politiche che investono la forma di Stato, cioè il rapporto valoriale ed etico fra pubblici poteri e cittadini, visto che si decide di introdurre nel Codice penale nuovi reati che prima non c’erano; ri-penalizzare reati in precedenza depenalizzati e varie altre odiosità che cercheremo di vedere.

PUGNO DURO CONTRO POVERI E DISEREDATI

È una delle piaghe sociali più diffuse in un sistema in cui prevale il denaro e, nel settore dell’edilizia, la speculazione capitalistica sui bisogni abitativi sempre crescenti della massa sterminata dei poveri e dei senzatetto. Una piaga sociale che il Governo vorrebbe risolvere sbrigativamente con questo d.d.l.

L’art. 10 del disegno di legge aggiunge all’art. 634 del vigente Codice penale l’art. 634-bis. – (Occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui). L’attuale dettato dell’art. 634 è il seguente: “Chiunque […] turba, con violenza alla persona o con minaccia, l’altrui pacifico possesso di cose immobili, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a due anni e con la multa da euro 103 a euro 309. Il fatto si considera compiuto con violenza o minaccia quando è commesso da più di dieci persone [..]”. La ratio legis della norma vigente risiede nell’esigenza di garantire il pacifico possesso di cose immobili in quanto legittimamente acquisito. La turbativa si configura unicamente in presenza di un atteggiamento violento o ricattatorio, questo è ritenuto tale se concorrono più di dieci persone. Dunque, il reato si ha con atteggiamento violento o ricattatorio perpetrato contro il legittimo possessore dell’immobile da almeno dieci persone (che evidentemente concorrono in associazione illecita).

L’art. 634 bis che si vorrebbe aggiungere ha riguardo, però, a una fattispecie differente: l’occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui. La circostanza non è di poco conto perché interrompe almeno il carattere fondamentale del precedente reato. Viene meno, infatti, il necessario concorso a delinquere di almeno undici persone. Si incorre nel reato, in altri termini, anche se il soggetto attivo è una sola persona o un piccolo nucleo familiare di disperati. Nel 634 bis, inoltre, si fa riferimento a soggetti attivi che occupano o detengono “senza titolo un immobile destinato a domicilio altrui […] ovvero impedisce il rientro nel medesimo immobile del proprietario o di colui che lo detiene legittimamente”. La “destinazione” non sempre corrisponde all’effettivo utilizzo. Tutti sanno che nel nostro Paese esiste un numero incredibile di appartamenti destinati a domicilio, disabitati o abitati dai legittimi possessori per pochi mesi all’anno. Così come tutti sanno che la grande massa dei diseredati, dei senzatetto, dei poveri assoluti, degli immigrati sfruttati come schiavi, spesso occupano alloggi vuoti da tempo immemore con grande disappunto di proprietari senza scrupoli a cui sfugge il principio costituzionale della funzione sociale della proprietà privata (art. 42.2 Cost.).

Il reato prevede una pena che va dai due ai sette anni, ma non sembra che la fattispecie sia priva di una disciplina: il precedente art. 633, infatti, punisce chi si introduce arbitrariamente, in maniera non momentanea, in un terreno o in un edificio altrui, pubblico o privato (anche senza violenza o ricatto), al fine di occuparlo o di trarne, altrimenti, un profitto. Solo che la pena prevista è da uno a tre anni. Con questo d.d.l. si vorrebbe inasprire una pena già prevista per reati di questo genere. L’obiettivo del Governo sembra del tutto evidente: è quello di facilitare al massimo lo sgombero dei poveri che occupano immobili vuoti perché hanno bisogno di sopravvivere.

Il disegno di legge prevede, poi, la velocizzazione delle procedure di sgombero e ripristino: all’art. 10, infatti, esso vorrebbe introdurre anche l’art 132 bis in base al quale per gli sgomberi non si dovrà più attendere la sentenza di un giudice per liberare l’immobile indebitamente occupato. Basterà dimostrare dal denunciante che l’immobile occupato abusivamente sia l’unica abitazione e la polizia giudiziaria sarà legittimata ad effettuare sgombero e ripristino con una previa autorizzazione anche verbale, persino per via telematica (un messaggio whatsapp?) da parte del PM. Sostanzialmente quasi tutto è rilasciato (almeno per quattro giorni) alla discrezionalità dell’autorità di polizia giudiziaria che così si trasforma quasi in organo giudiziario. Essa, infatti, entro quarantotto ore deve trasmettere al PM il verbale delle operazioni di sgombero e ripristino; il PM può richiedere al Giudice la convalida entro le quarantotto ore successive, ma drammi e tragedie in quattro giorni ci saranno già stati. Si pensi ai frequenti sgomberi di famiglie nullatenenti, poveri totali, immigrati schiavizzati (e l’elenco sarebbe lungo) che resterebbero in mezzo a una strada. Senza contare l’uso della forza nei casi di resistenza (del tutto comprensibili, visto che si incide violentemente su sentimenti profondi e sacri di cui nessuno si preoccupa) o assenza degli occupanti.

COSI’ SI VORREBBE ANNULLARE L’ART. 17 DELLA COSTITUZIONE

Il blocco stradale, notoriamente, è un reato ed è commesso da chi ostruisce o ingombra una strada ordinaria o ferrata; è punito con la reclusione da 1 a 6 anni. Un regalo di Salvini del 2018; originariamente era un illecito penale depenalizzato nel 1999; con il decreto sicurezza del 2018 (DL n. 113/2018, pubblicato in G.U. n. 231 del 04/10/2018) il blocco stradale è tornato a essere reato.

Diversa è la fattispecie in cui l’ostruzione avviene con la sola presenza passiva del proprio corpo, non opponendo resistenza alcuna e omettendo atteggiamenti offensivi anche in presenza della rimozione (insomma, ti portano via di peso). In tal caso, il blocco si pone nella categoria degli illeciti amministrativi punibili con il pagamento di una somma da euro 1.000 a euro 4.000. Ebbene, il Governo vorrebbe completare l’opera di Salvini del 2018. Il d.d.l., infatti, sostituisce l’attuale sanzione amministrativa con il carcere (Art. 14 Atto Senato 1236). L’illecito amministrativo diventa reato. La norma recita, infatti, «con la reclusione fino a un mese o la multa fino a 300 euro»; ancora, «la pena è della reclusione da sei mesi a due anni se il fatto è commesso da più persone riunite». Non sembra ci siano dubbi: si desidera reprimere con durezza e asprezza principalmente il dissenso che si manifesta pacificamente e senz’armi (art. 17.1 Cost) attraverso i blocchi stradali organizzati da associazioni e attivisti. Con questa forma di lotta pacifica (ghandiana) gli organizzatori intendono attirare l’attenzione su problematiche sociali come la pace, le esclusioni, le diseguaglianze, la tutela dell’ambiente, le grandi opere inutili e fortemente impattanti sugli equilibri naturali e la biodiversità. Insomma, il dissenso espresso su una strada interrompendo simbolicamente il traffico pacificamente e senz’armi diventa reato. Se poi a dissentire pacificamente in questa forma sono almeno due persone, ci sono fino a due anni di carcere. Non nascondo una preoccupazione che mi sorge spontanea, considerando che anche un corteo interrompe il traffico pacificamente e senz’armi ad opera di più persone. Si farà peccato, ma con i fascisti al governo pensar male aiuta…

Si inasprisce poi la pena per i danneggiamenti di beni immobili specie se questi sono palazzi del potere: la nuova pena è fino a cinque anni di reclusione.
Si aggravano le pene per violenza e resistenza a pubblico ufficiale (art. 19 Atto Senato 1236). Si introducono nuove fattispecie negli artt. 336, 337 e 339 del Codice penale, infatti, ma è in quest’ultimo articolo che quella introdotta sembra del tutto peculiare: «se la violenza o la minaccia è commessa al fine di impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di un’infrastruttura strategica, la pena è aumentata».

È una norma che sembra scritta da Salvini. Si tenta di scoraggiare la partecipazione a manifestazioni in cui si mettono in discussione le grandi opere strategiche come la tav e il ponte sullo stretto, inasprendo la pena per eventuali violenze o minacce al pubblico ufficiale. Certo che tali violenze o minacce possono verificarsi, ma è uno spauracchio. Tutti sanno che violenze e minacce in tutte le manifestazioni quasi sempre sono provocate ad arte per farne degenerare il carattere pacifico.

carcere
Foto di Marcello Rabozzi da Pixabay

LA MIOPIA DEL POTERE AUTORITARIO SU STUPEFACENTI, MIGRANTI E DONNE DEBOLI

Se il d.d.l. in esame diventasse legge, tornerebbe illegale la cosiddetta cannabis Light equiparandola a quella stupefacente con un Thc superiore allo 0,2% (art. 18 A.S. 1236 che modifica la legge 2 dicembre 2016, n. 242). Di conseguenza, sarebbero vietati il commercio, la lavorazione e l’esportazione di foglie, infiorescenze, resine e di tutti i prodotti che contengono sostanze derivanti dalla pianta di canapa.

Di particolare odiosità appare la norma che impedisce ai cittadini extra UE senza permesso di soggiorno di acquistare una scheda SIM per i telefoni cellulari (art. 32, A.S. 1236 che modifica l’art. 30 del d.lgs. 1° agosto 2003, n. 259). Per chi attende il permesso, infatti, l’impossibilita di comunicare diventerebbe drammatica, ma questo non interessa minimamente chi semina solamente odio, razzismo e disprezzo verso le persone più disperate.

Altra odiosa scelta politica, infine, riguarda il rinvio obbligatorio e quello facoltativo della pena. Come è noto, l’art. 146 del Codice penale persegue il fine di tutelare il diritto alla salute del condannato in attuazione degli artt. 27 e 32 della Costituzione. In tali casi, infatti, lo Stato sospende la propria potestà punitiva, per evidenti esigenze di rispetto della vita umana e soprattutto del best interests of the child. In particolare, nei confronti della donna incinta o della madre di un/a bimbo/a con età inferiore a un anno il rinvio dell’esecuzione della pena è obbligatorio e il giudice deve solo verificare l’esistenza delle condizioni previste. Tutto cambia al variare di esse (la gravidanza si interrompe, la madre decada dalla responsabilità genitoriale, il figlio muore o altro), ma l’obbligo del rinvio della pena per il giudice resta. L’A.S. 1236, all’art. 15, invece (sembra una cattiveria fatta alle donne deboli e ai bambini con meno di un anno), cancellerebbe le fattispecie appena dette. Sia che si tratti di donna incinta, che di madre con figli al di sotto di un anno. Il differimento della pena, in altri termini, diventa ampiamente discrezionale.

Mi sono già espresso nel merito, sia in premessa che nel corpo di questo intervento. A chiusura mi sento solo di aggiungere che alla mobilitazione già in atto contro questo disegno fascista, grande rilievo potrebbe avere la disponibilità del mondo della cultura (come sembra si stia delineando) e della comunità scientifica umanistica. Che abbia, questa, il coraggio di schierarsi con la democrazia anche osservando l’esempio negativo e indegno di quella sua piccola (per fortuna) componente che ha già scelto di inchinarsi.