Altro che autonomia differenziata, la legge Calderoli apre al secessionismo

già pubblicato in www.strisciarossa.it del 30 giugno 2024

La legge approvata lo scorso 19 giugno alla Camera dei deputati (l. 26 giugno 2024, n. 86 Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione che, per comodità, chiameremo legge Calderoli), dopo un iter super accelerato per via di accordi di scambio fra componenti della maggioranza di destra, presenta già nel primo articolo forme inedite di ipocrisia legislativa, legate a premesse politiche e istituzionali preoccupanti. È sbandierata come IL risultato, invece è solo UN risultato.

Nel primo articolo si dettano le finalità della legge. Esse sembrerebbero andare dal rispetto dell’unità nazionale alla rimozione delle discriminazioni e delle disparità; dall’unità giuridica alla indivisibilità della Repubblica; dal decentramento alla semplificazione e via discorrendo.

In realtà, esaminando gli articoli successivi ci si accorge che questi si occupano d’altro. Negli artt. 2 ss., infatti, si disciplina il procedimento di approvazione delle “intese” che l’art. 116.3, Cost. richiede per l’attribuzione di ulteriori forme di autonomia (negoziati Stato-regione, pre-intese, “atti di indirizzo” delle Camere, schemi di intesa definitivi ecc.).

Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Foto di Antonio Moniaci / LiveMedia

Vi è poi la disciplina sulla definizione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni con una delega al Governo sulla base di criteri e principi direttivi stabiliti nella legge finanziaria 2023. Criteri e principi chiaramente incostituzionali [cfr. Art.117.3 lett. m) Cost.], laddove sottraggono al Parlamento l’approvazione dei LEP per consegnarli al Governo. Poi si fissano principi applicabili ai trasferimenti delle funzioni e si dice che tali trasferimenti saranno possibili solo dopo la definizione dei LEP e dei relativi costi, in base alle disponibilità di bilancio o in seguito a nuovi stanziamenti.

Fra le norme finanziarie finali vi è la clausola di “invarianza finanziaria” per l’attuazione della legge e delle intese che ne derivano. Che non è poco: significa che l’attuazione della legge e di quelle approvative delle intese, dovrebbe aversi compatibilmente con le risorse disponibili a legislazione vigente, e senza maggiori oneri per la finanza pubblica.

La Lega e la Macroregione alpina

Come si vede, dopo le dichiarazioni altisonanti e del tutto fuori luogo dell’articolo 1, la legge approvata lo scorso 19 giugno, è una legge ordinaria sul procedimento, per la formazione delle intese regioni/Stato e la definizione dei LEP. Non contiene il conferimento di autonomia differenziata alle regioni, ma apre una strada di accesso (questo si) per successivi passaggi preparatori di altre tappe secessioniste meno mascherate.
La Lega, che ha barattato con la Meloni il premierato, non punta allo Stato arlecchino con venti principati reginali, bensì alla morte dell’unità nazionale in nome di una costruzione settentrionale che già nel 2013 si chiamava Macroregione alpina (leggi qui). Miracolosa, a tal proposito, era stata la modifica dell’articolo 117 della Costituzione in cui si trovò inserito il comma ottavo che recita: ”la legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni”. Quali saranno questi “organi comuni”? Amministrativi, consultivi, tecnici, non è dato sapere. Il rischio (non più così peregrino, purtroppo), è che siano invece politici. Magari un parlamento del nord. Il sogno di Miglio.

In questa direzione si sta già da tempo muovendo Zaia che aspettava l’approvazione di questa legge per cominciare a concretizzare alcuni accordi sulle materie non LEP. Dopo aver stabilito che il conferimento dell’autonomia differenziata è possibile solo dopo la definizione dei LEP, infatti, la legge Calderoli stabilisce che per le materie diverse da quelle riferibili ai LEP, vi è solo il limite delle risorse previste a legislazione vigente, allora si può già partire con le intese.

Il ministro Calderoli arretra di fronte al tricolore

Quali sono queste materie? Sono nove: rapporti internazionali e con l’Unione europea; commercio con l’estero; professioni; protezione civile; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale; organizzazione della giustizia di pace. Per niente trascurabili, non c’è che dire, tutt’altro. Il Veneto è già partito (leggi qui) ed ha già alzato la posta in gioco: Zaia vorrebbe aggiungere, infatti, le cinque materie già “conquistate” con la pre-intesa del 2018: politiche del lavoro; istruzione; salute; tutela dell’ambiente e dell’eco sistema; rapporti internazionali e con Unione Europea (non LEP). Ecco quale strada apre la legge Calderoli, come prima meta, pur non conferendo autonomia differenziata a nessuna regione.

Parlamento messo ai margini

Per le materie LEP, invece, si profila, intanto, un iter molto complesso. Per la definizione dei LEP, infatti, la legge Calderoli, come accennato, marginalizza il Parlamento: il dibattito parlamentare sulla loro definizione, infatti, da necessario come vorrebbe la norma costituzionale, diventa eventuale nel caso da parte del Governo si verificasse una violazione della delega su criteri e principi direttivi contenuti nella finanziaria 2023. Cioè, davvero improbabile. Non solo, il Parlamento compare nel procedimento solo per l’emanazione di pareri al Governo da parte delle commissioni parlamentari. Pareri facilmente aggirabili dal Governo che può trasmettere alle Camere (dove la maggioranza è blindata) delle controdeduzioni con esito scontato.
Oltre le pre-intese del 2018, inoltre, che secondo Zaia possono già avere corso, se ne possono aggiungere altre, si vedrà, ma intanto i LEP saranno definiti dal Governo anche per l’esistenza di un Parlamento, purtroppo, in maggioranza al suo servizio, amplificando a dismisura il divario fra le regioni meridionali e quelle settentrionali.

Cosa succederà ora. Nel nostro Paese, per questa via, si ripeterà ciò che è già accaduto per la sanità (dove i Livelli Essenziali di Assistenza esistono già da tempo) anche per le altre materie che andranno ad autonomia differenziata tramite le intese. Nel settore sanitario, i LEA non solo non hanno garantito il diritto alla salute per tutti nel territorio nazionale, ma per via di una scellerata politica di marginalizzazione del mezzogiorno, si sono determinate circa cinque sanità differenziate con buona pace del Servizio Sanitario Nazionale. Dopo il settore delle politiche sociali, la sanità è quello che assorbe la maggior parte delle risorse pubbliche, ma secondo una notevole sproporzione fra centro-nord e mezzogiorno: 2.058 euro pro capite al Centro-Nord contro 1.872 del Mezzogiorno. Questo fatto, derivante dalle scelte politiche dei governi, per fare un solo esempio, aumenta la mobilità sanitaria: il fenomeno dei malati del sud che vanno a farsi curare nel nord dove la sanità è migliore per via dei maggiori investimenti pubblici (e di conseguenza anche privati). Un numero di persone che si aggira intorno a un milione ogni anno, con un perverso indotto di impoverimento (familiari che per questo perdono il lavoro). Si tratta di un fenomeno che sottrae ingenti risorse finanziarie al sud per trasferirle al nord (circa 3 miliardi di euro negli ultimi 3 anni, diventati 4,5 di media negli anni prima del Covid).

La secessione dei ricchi

Il quadro sopra brevemente rappresentato – termometro sensibile di una questione meridionale che si aggrava sempre di più per via della carenza cronica e crescente degli investimenti pubblici nel centro meridione – con le leggi di approvazione delle intese (a partire da quelle possibili subito) si estenderà per le rispettive materie (LEP o non LEP), determinando la più grande secessione economica e sociale mai vista in Italia. La secessione dei ricchi, appunto. L’espressione è molto calzante.

Salvini e Zaia

Come si è arrivati a tanto? Riprendo il tema iniziale dell’ipocrisia legislativa legata a “premesse politiche e istituzionali preoccupanti”. La marginalizzazione del Parlamento ad opera di qualsiasi Governo (tanto più quando il Governo è pieno di fascisti come questo) non sarebbe stata possibile in assenza di queste premesse: l’infatuazione per il maggioritario degli anni ’90 del secolo scorso; la contestuale infatuazione per il cosiddetto “federalismo” (concetto dubbio e fuorviante in un disegno costituzionale autonomista e regionalista ex art. 5, Cost); la distruzione dei diritti elettorali dei cittadini che ha portato in seguito alla composizione di un Parlamento di soli nominati; la revisione del Titolo V della Costituzione; il quasi dimezzamento del numero dei parlamentari. Queste premesse hanno condotto, chi per un verso, chi per l’altro; chi più, chi meno, alla legge Calderoli.

Che fare? La risposta is blowin’ in the wind? Non saprei, ma qualcosa è possibile. Innanzi tutto, occorre chiarezza e decisione da parte di quella sinistra che, in quelle premesse diaboliche sopra richiamate, ha dirette responsabilità storiche (risparmio l’elenco…). Se oggi esiste un ripensamento effettivo che la porta ad opporsi al progetto secessionista, come appare, occorrono decisione, veri ripensamenti e coraggio. Non si può negare che almeno fino ad oggi ci siano stati tentennamenti a volte incomprensibili.

Mi spiego, il Presidente Bonaccini afferma in un’intervista che “la richiesta dell’Emilia-Romagna […] riguardava solo alcune delle 23 materie potenzialmente previste, soprattutto limitate e specifiche funzioni all’interno di queste. Lo scopo era semplificare e sburocratizzare, dare risposte efficaci e rapide a cittadini e imprese […]. Noi puntavamo all’efficienza dei servizi, qui invece ci si prepara a dividere i destini delle aree del Paese, come se l’Italia non fosse già profondamente divisa. Prima di procedere, avevamo chiesto che fossero stabiliti e garantiti i Lep in tutto il territorio nazionale e che fosse assicurato il coinvolgimento del Parlamento. La legge approvata fa esattamente il contrario. Per questo diciamo no e ci opporremo” (leggi qui). Va bene, ma prima delle sue dimissioni avrebbe potuto proporre alla sua Assemblea la revoca delle pre-intese di cui l’Emilia-Romagna fa ancora parte. Zaia, come detto, è già al lavoro. Sono certo che nessuna delle trattative di Zaia coinvolgano l’Emilia-Romagna nemmeno sottobanco. O no?

Elly Schlein e Stefano Bonaccini, ph Massimo Alberico / agenzia Fotogramma
Elly Schlein e Stefano Bonaccini, ph Massimo Alberico / agenzia Fotogramma

La Giunta di questa Regione, dopo le dimissioni di Bonaccini è attiva: entro 60 giorni dalla pubblicazione della Legge Calderoli farà ricorso diretto alla Corte? La Giunta regionale Emilia-Romagna, presieduta dal Vicepresidente potrebbe farlo. Essa, infatti, compie gli atti di ordinaria amministrazione solo nella ricorrenza di due possibili situazioni: a seguito delle dimissioni del Presidente dovute all’annullamento dell’elezione dell’Assemblea, ovvero, dopo lo scioglimento per le dimissioni della maggioranza dei suoi componenti (artt. 32.3 bis e 48 Stat.). Queste due circostanze non ricorrono.

A chiusura, senza molti giri di parole, non mi è piaciuto il tentativo di sminuire quella parte della riforma del Titolo V del 2001 che ha spianato la strada a questi disastri che abbiamo ora davanti. Dire che “quella riforma l’autonomia differenziata era una parte minoritaria di un progetto di valorizzazione di tutte le autonomie, dentro il principio primario di unità e solidarietà nazionale, a partire dalla perequazione” come nell’intervista dell’On. Bonaccini (leggi qui), è per lo meno superficiale se non fuorviante. Si è trattato, in realtà, di una parte sufficiente per negare il sistema autonomista scritto nei principi fondamentali della Costituzione (art. 5). Quanto basta per aprire la strada al secessionismo di Miglio che ora trova persino capacità oggettive, formali e materiali, di essere attuato.